venerdì 29 luglio 2016

IL PAPIRO DELLA MOGLIE DI GESU' E' RISULTATO ESSERE UN FALSO MODERNO

ARTICOLI DA VARIE FONTI ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
IL PAPIRO DELLA MOGLIE DI GESU' --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Giu 18, 2016 | INFO.STUDENTI.NET Vi ricordate il papiro scritto in copto che qualche anno fa fece tanto discutere, in cui si parlava della moglie di Gesù? Molto probabilmente si trattava di un falso; adesso lo ammette anche la professoressa universitaria di Harvard che aveva rivelato l’esistenza del documento. Vi ricordate il papiro scritto in copto che qualche anno fa fece tanto discutere, in cui si parlava della moglie di Gesù? Ne scrivemmo all’epoca QUI. Probabilmente si trattava di un falso; adesso lo ammette anche la professoressa universitaria di Harvard che aveva rivelato l’esistenza del documento, e aveva contribuito in maniera clamorosa alla sua “scoperta” e pubblicizzazione. Il frammento, della grandezza di un biglietto da visita, contiene quattordici righe scritte in copto, e nel testo a un certo punto si legge: “Gesù disse loro: Mia moglie…”. Il frammento era antico – si diceva – a 1300 anni fa, e sarebbe stato una briciola di un’opera più ampia, evidentemente persa. Karen King, una nota studiosa di Storia Cristiana all’Università di Harvard presentò il reperto alla stampa nel 2012, a Roma, e in maniera lievemente provocante ne parlò come “del Vangelo della moglie di Gesù”. Ora di una moglie di Gesù (Maria Maddalena) parlano alcune tradizioni particolari dell’islam, tanto che si afferma che Gesù, salvato dalla croce , guarito e partito con Maria Maddalena, sia sepolto in Kashmir. Il mondo degli studiosi si divise e il dibattito continuò per un certo periodo. Adesso un’inchiesta molto lunga e documentata di Ariel Sabar, sulla rivista Atlantic , offre consistenti indizi, e forse anche più di indizi che si sia trattato di un falso moderno. A questo punto, dopo aver letto l’inchiesta, anche la professoressa Karen King che questo “fa pendere la bilancia dalla parte del falso”, come scrive il Catholic Herald. Il papiro della moglie di Gesù ha perso anche il suo difensore più fedele. 18/06/2016 LA STAMPA MARCO TOSATTI http://infostudenti.net/it/la-moglie-di-gesu-era-un-falso/ --------------------------------------------------------------------------------------------------------- NOTIZIA DELLA SCOPERTA IL 2012 marco tosatti 26/09/2012 La scorsa settimana una studiosa americana, Karen King, dell’università di Harvard ha presentato a Roma un frammento di papiro copto, con anticipazione a New York sul New York Times, acquisito – secondo quanto dichiarato – da un collezionista che vuole mantenere l’incognito, in cui Gesù diceva: “Mia moglie e lei potrà essere discepola a me”… Naturalmente la sola allusione a una possibile moglie di Gesù, negli Stati Uniti dell’era Obama diventa subito interessante. Anche se non lo era ai tempi di Gesù: Pietro era sposato, e c’era comunque una tradizione ben viva nell’ebraismo di celibi dedicati a Dio. Ma adesso uno studioso britannico, Francis Watson, dell’università di Durham, lancia l’ipotesi che ci si trovi di fronte a una falsificazione, o comunque a un paprio “costruito”. Francis Watson, uno specialista del settore e che a quanto pare ha nel suo curriculum la scoperta di altri documenti presunti storici, e poi rivelatisi falsi, sostiene che il testo costruito. E lo argomenta in sei pagine di elaborazione, di cui alleghiamo il link. http://markgoodacre.org/Watson.pdf. “Karen King ammette uno scetticismo iniziale – scrive Watson – ma ora è convinta che questo frammento di papiro derivi da una copia del quarto secolo di un testo del secondo secolo. Io cercherò di dimostrare che lo scetticismo è esattamente l’atteggiamento giusto. Il testo è stato costruito con piccoli pezzi – parole o frasi – ricavate principalmente dal Vangelo di Tommaso, gnostico, sezioni 101 e 114, e sistemati in un nuovo contesto. Questa probabilmente è la procedura di composizione di un autore moderno che non è di lingua madre copta”. E’ ovviamente impossibile, per ragioni di spazio, seguire Watson nella sua analisi passo dopo passo, che parte dal Vangelo di Tommaso, trovato a Nag Hammadi, nel 1945, e il cui testo è accessibile a tutti. E afferma che nel breve frammento sono presenti frasi (in particolare la formula: “I discepoli dissero a Gesù”) che morfologicamente non appaiono nei quattro canonici, ma appartengono al Vangelo di Tommaso. E restano, comunque, e sempre valide tutte le possibili interpretazioni di quella “mia sposa” che ha creato tanto abile interesse. La “sposa” potrebbe essere la Chiesa, come nel libro dell’Apocalisse, e nella tradizione cristiana di due millenni; potrebbe essere, come nel Cantico dei Cantici, l’anima dell’uomo in ricerca di Dio; potrebbe essere, nella tradizione gnostica, il discepolo che cerca la perfezione. Insomma, non è detto che Gesù parlasse della signora Gesù, se anche - e Watson afferma di no – il frammento del quarto secolo fosse un frammento autentico di chissà che cosa. Da ricordare poi che in realtà questa tesi di Gesù sposato è ben presente nella tradizione Ahmadiya, che vuole Cristo guarito con unguenti miracolosi dopo la crocifissione, fuggito con la Maddalena, e sistemato stabilmente in Kashmir, dove ancora oggi si possono vedere la sua tomba e magari incontrare suoi discendenti. https://www.lastampa.it/2012/09/26/vaticaninsider/ita/inchieste-e-interviste/lipotesi-del-papiro-falso-xooiv3wiPFq8WvbYne8yHJ/pagina.html <<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<< IL GIORNALE DELL'UNIVERSITA' DEGLI STUDI DIPADOVA Gesù non era sposato e non legge Dan Brown. Per ora 19 luglio 2016 18 settembre 2012: durante un congresso internazionale di studi copti a Roma, a pochi passi dal Vaticano, Karen L. King, titolare della prestigiosa Hollis Chair alla Harvard University, presenta un frammento di papiro recante un testo copto lacunoso. La notizia deflagra come una bomba perché nel testo, che si presume risalente almeno al IV secolo d.C. (se non prima), Gesù non solo chiama Maria (forse la Maddalena) “mia moglie”, ma afferma anche che questa è degna di diventare sua discepola. Il reperto, grande appena come una carta di credito, viene in fretta e furia battezzato Vangelo della moglie di Gesù e l’ateneo americano gli dedica addirittura un apposito sito internet. Nasce così un dibattito avvincente intorno all’autenticità e al significato del papiro, che dura fino a pochi giorni fa, quando l’inchiesta del giornalista Ariel Sabar getta luce sulla vicenda. Sabar infatti identifica il proprietario del frammento, la cui identità non era stata rivelata dalla King: un uomo d’affari di origine tedesca, con studi in coptologia alle spalle e un debole per la pornografia e la spiritualità New Age. Il ritratto perfetto dell’aspirante falsario, capace di confezionare il testo niente poco di meno che sotto l’influenza del Codice Da Vinci, il polpettone pseudo-storico di Dan Brown. Una vicenda che ha dell’incredibile e sulla quale riflettiamo assieme ad Alberto Camplani, docente alla Sapienza in storia del Cristianesimo e delle chiese, che proprio il giorno dell’annuncio presiedeva il convegno in qualità di organizzatore, nonché uno dei primi studiosi a gettare un’ombra di dubbio sull’autenticità e il significato del testo. “A differenza di studiosi del calibro di Stephen Emmel, Wolf-Peter Funk, Alin Suciu, Tito Orlandi e Paola Buzi, convinti che il papiro fosse un falso io ho assunto un atteggiamento più possibilista – racconta al Bo lo studioso – ma ho comunque sempre escluso che si trattasse di un vero e proprio vangelo”. Tra i punti oscuri c’era proprio la provenienza del papiro: “Non era stata rivelata l’identità del possessore, né come era giunto negli Stati Uniti, e questo non è mai un buon segno: l’origine di qualsiasi frammento copto dovrebbe infatti essere tracciabile perlomeno fino al momento in cui lascia l’Egitto”. Inoltre i due studiosi che, secondo i documenti in possesso della King, avrebbero esaminato e validato il frammento (Peter Munro e Gerhard Fecht della Freie Universität di Berlino), erano entrambi morti. “Non solo: non avevano fatto parola della scoperta con i colleghi, come ho verificato nel corso di alcune indagini che ho condotto personalmente. Una cosa molto strana per il nostro ambiente. In quel momento ho capito che qualcosa non funzionava”. Un dubbio che alla fine è divenuto certezza: “Subito dopo la pubblicazione dell’articolo di Karen King nella Harvard Theological Review, nel 2014, le osservazioni del coptologo Christian Askeland mi hanno definitivamente convinto che si trattava di un falso”. Cosa aveva scoperto il giovane studioso americano? “Che la mano che aveva redatto il Vangelo della moglie di Gesù era la stessa di un altro frammento che il falsario desiderava far acquistare all’Università di Harvard: il testo copto di un passo del Vangelo di Giovanni che riproduceva esattamente un’edizione critica degli anni ‘30”. Un indizio giudicato molto importante dalla stessa King, ma che non aveva completamente messo d’accordo tutta la comunità scientifica. A favore dell’autenticità del reperto rimanevano infatti la datazione con il radiocarbonio, che lo collocava tra il 659 e il 859 della nostra era, e l’analisi dell’inchiostro e delle tecniche di redazione: elementi comunque non impossibili da replicare per un falsario particolarmente abile. Oggi, dopo l’inchiesta di Sabar sull’Atlantic, la vicenda sembra ormai incamminata sulla via della soluzione, lasciando però alcuni interrogativi. Quanto ha pesato all’inizio la spettacolarizzazione di una ricerca scientifica? “Personalmente non sono contrario al fatto che i giornali si occupino di scienza e di ricerca, ma in questo caso però si è esagerato – risponde Camplani –. Quando nel 2012 è stato dato l’annuncio, la notizia della ‘scoperta’ è subito apparsa sui giornali online americani non appena Karen King ha iniziato a parlare. Tutto quindi era stato preparato da giorni”. Un comportamento irrituale? “Quello che ci ha resi perplessi – e allo stesso tempo ci ha insospettito – è stato il fatto di sollecitare l’informazione su una scoperta non ancora discussa e validata dagli altri studiosi. Perché in questo modo si rischia di fare pressioni sulla comunità scientifica per orientare il dibattito”. Com’è potuto accadere? “Forse è stato considerato che una scoperta così eclatante e mediatizzata poteva portare attenzione alla coptologia e fondi alla ricerca”. Rimane infine aperta la questione dell’influenza dello spirito del tempo su un terreno, quello della ricerca scientifica, che in teoria dovrebbe essere alieno da personalismi e influenze culturali e ideologiche. Invece, se a volte la realtà supera la fantasia, altre può accadere che sia la fantasia a manipolare letteralmente la realtà. E può persino capitare che uno scenario alla Dan Brown impegni per quasi quattro anni storici e studiosi di tutto il mondo. Daniele Mont D’Arpizio http://www.unipd.it/ilbo/gesu-non-era-sposato-non-legge-dan-brown-ora <<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<< Nuovi dubbi sul Vangelo della moglie di Gesù •31-07-2014 •di Roberto Labanti Forse ricorderete il Vangelo della moglie di Gesù (GJW), l’apparente frammento in copto saidico di un testo cristiano antico altrimenti sconosciuto di cui avevamo scritto in questa rubrica su Query 12. Era stato presentato al decimo International Congress of Coptic Studies tenutosi a Roma nel settembre 2012 dalla storica del cristianesimo Karen L. King, che lo aveva ricevuto per studio e pubblicazione da un collezionista statunitense ancora oggi ignoto: quest’ultimo, a sua volta, lo avrebbe acquistato da un tedesco insieme ad altri cinque papiri in greco e in copto. La studiosa, con il contributo della papirologa AnneMarie Luijendijk, aveva preparato un articolo, accettato per la pubblicazione dall’Harvard Theological Review dopo un processo di peer review, nel quale procurava l’edizione del frammento e situava il testo all’interno delle idee delle varie forme di cristianesimo antico. Per King, si trattava di un frammento di un codice del quarto secolo dell’età volgare, testimone di un testo originariamente composto forse già nel secondo secolo (in greco?), dal quale emergerebbe, tra l’altro, una controversia sul fatto che Gesù fosse o meno sposato, presente anche in altri testi di quel periodo. Come all’epoca avevamo segnalato, in seguito ai dubbi e alle difficoltà sollevati sulla Rete da diversi studiosi di cristianesimo delle origini e di coptologia, la rivista aveva sospeso la pubblicazione in attesa, nel caso che il proprietario avesse dato la propria autorizzazione, di una serie di esami scientifici sul supporto e sull’inchiostro del reperto. Senza particolare pubblicità, in effetti, le analisi sono state infine realizzate. Coloro che si aspettavano risultati decisivi sull’autenticità saranno rimasti piuttosto delusi: era peraltro chiaro a quasi tutti che solo un falsario alle prime armi avrebbe utilizzato un papiro moderno o inchiostro incompatibile con quello utilizzato nell’antichità. Partiamo dalla datazione del supporto con il metodo del radiocarbonio (o carbonio-14): un primo test (effettuato da Gregory Hodgins presso l’University of Arizona) ha attribuito il supporto al terzo-quarto secolo avanti era volgare, pur in presenza di un’anomalia, al momento non spiegata, del valore del carbonio-13, che potrebbe avere alterato la datazione; tale risultato non soddisfacente (perché uno scriba cristiano del quarto secolo avrebbe dovuto utilizzare un papiro di quasi un millennio precedente?) ha portato alla realizzazione di un secondo test (Noreen Tuross, dipartimento di biologia evoluzionistica umana, Harvard University) che ha invece indicato una data fra il 659 e l’869 dell’era volgare (età media: 741 e.v.). L’ossidazione del materiale cellulosico mostrata dalla microspettrografia ad infrarossi (Joseph M. Azzarelli et al., Massachusetts Institute of Technology) è compatibile con l’antichità del papiro. La composizione chimica dell’inchiostro (o degli inchiostri, perché sembra possibile che sui due lati siano stati utilizzati due differenti ma simili partite di inchiostro) lo identifica come inchiostro nero di carbonio, non diverso da quelli usati nell’antichità (James T. Yardley e Alexis Hagadorn, Columbia University). L’esame paleografico sull’originale (Malcolm Choat, Macquarie University) rende possibile abbandonare alcuni degli argomenti evidenziati dai sostenitori del falso durante il dibattito precedente (dovuti ad artefatti dell’immagine digitale), ma il paleografo chiarisce che «non h[a] trovato la “pistola fumante” che indichi senza dubbio che il papiro non sia stato scritto nell’antichità, ma neppure tale esame permette di provare che sia genuino». A questo punto, l’Harvard Theological Review ha ritenuto fosse giunto il momento di pubblicare, in un fascicolo di aprile 2014 così trasformato in un numero quasi monografico, una versione rivista dell’articolo di King, seguito da sommari dei risultati delle analisi delle scienze ancillari (i rapporti più ampi sono stati infatti contemporaneamente pubblicati su un sito web), da una valutazione critica e dalla controreplica a quest’ultima della stessa King[1]. Nel suo intervento King, dopo aver ringraziato Roger Bagnall, AnneMarie Luijendijk (non più indicata nella dichiarazione autoriale) e Ariel Shisha-Halevy, gli studiosi che per primi avevano potuto collaborare con l’autrice nello studio del papiro, riconosce l’utilità di «molti dei commenti critici e costruttivi» circolati in ambito informale. Procede poi a fornire l’edizione critica del frammento e ad analizzare il reperto, il linguaggio utilizzato e la storia del manoscritto. In quest’ultima sezione, dove si occupa anche della questione del falso, è costretta a scartare la datazione paleografica che appariva nella prima versione del suo studio e a proporne una più tarda (settimo-ottavo secolo e.v.) in linea con i risultati dell’analisi del 14C di Tuross (giunti quando l’articolo in realtà era già pronto) e a riconoscere che la mano che ha vergato il testo è «non professionale» e «inesperta»; tutto considerato, ritiene però improbabile che ci si trovi di fronte ad un falso moderno. Consapevole che non si è di fronte all’ultima parola sulla questione, scrive che «[u]lteriori ricerche o lo sviluppo di nuovi metodi potranno offrire prove determinanti, ma per ora, giudicherei che il peso dell’evidenza sia a favore» a ritenere il frammento un prodotto materiale dell’antichità. Il ruolo dell’advocatus diaboli è stato assunto dal fiammingo Leo Depuydt, professore di egittologia presso la Brown University di Providence, Rhode Island, uno degli studiosi che aveva sollevato pubblicamente dubbi sulla genuinità del frammento. Nel suo intervento questi ribadisce la dipendenza dal Vangelo di Tommaso e segnala una serie di errori grammaticali in cui sarebbe incorso il falsario, prove ed argomenti che nella sua controreplica King ritiene rispettivamente non sostanziali e non persuasivi. Un tempo la disputa avrebbe potuto chiudersi qui. Non è più così nell’epoca del Web 2.0. Del gruppo di sei papiri acquistati in blocco, solo due erano stati quelli consegnati dall’anonimo collezionista a King per studio e pubblicazione. Uno era il GJW; l’altro, di dimensioni un poco più grandi, contiene invece sui due lati un frammento della versione copta licopolitana del vangelo canonico di Giovanni. Il supporto è stato datato dai test del 14C al 681/877 e.v. (Hodgins) o al 648/800 e.v (Tuross; età media: 718 e.v) ed è composto da cellulosa ossidata (Azzarelli et al.); l’inchiostro utilizzato è simile ma abbastanza distinto da quello/quelli utilizzati per il GJW (Yardley & Hagardon). Non ancora formalmente pubblicato, ne sono però state diffuse immagini all’interno dei rapporti d’analisi e l’attenzione dei critici si è presto concentrata su queste. Lo storico del cristianesimo e coptologo Christian Askeland (Indiana Wesleyan University) ricercatore presso la Kirchliche Hochschule Wuppertal/Bethel (per la quale si sta occupando della versione copta dell’Apocalisse canonica presso uno dei più importanti centri di critica testuale, l’Institut für neutestamentliche Textforschung dell’università di Münster) e collaboratore della Green Scholars Initiative (sponsorizzata dalla famiglia evangelicale statunitense dei Green), aveva studiato per il suo dottorato di ricerca presso l’University of Cambridge proprio le traduzioni del Nuovo Testamento in copto. Prima in alcuni interventi su un blog cui collabora e poi in un articolo apparso sul fascicolo di maggio della rivista peer-review Tyndale Bulletin (edita da una biblioteca di studi biblici di ispirazione cristiana con sede a Cambridge) ha messo in dubbio l’autenticità anche di questo frammento: egli ritiene che il falsario abbia impiegato, per costruire il testo, l’edizione critica di Herbert Thompson (1924) del Codex Qau, un codice del quarto secolo proveniente da Qaw e conservato a Cambridge contenente il Vangelo di Giovanni in licopolitano, un dialetto che, comunque, nel settimo-ottavo secolo non è più documentato. Soprattutto, Askeland giudica che la mano che ha vergato il GJW e quella che ha prodotto questo frammento siano la medesima[2]. Anche da un punto di vista codicologico, come ha notato Stephen Emmel, professore di coptologia presso l’università di Münster, già presidente e dal 2000 segretario dell’International Association for Coptic Studies, il frammento del Vangelo di Giovanni è anomalo: il codice avrebbe dovuto avere dimensioni assai diverse rispetto agli altri codici dell’epoca[3]. Dopo la pubblicazione dell’analisi di Askeland, il New York Times ha contattato King per la quale questa «è sostanziale, vale la pena di prenderla sul serio e potrebbe puntare nella direzione del falso» ma non considera chiusa la questione[4]. Da parte sua Alin Suciu (Hiob Ludolf Centre for Ethiopian Studies (HLCES) dell’università di Amburgo), uno dei primi coptologi a dimostrarsi pubblicamente critico nei confronti del papiro, scrive sul suo blog un post riassuntivo dedicato alla vicenda: «Dato che l’evidenza di una falsificazione è ormai schiacciante, considero la polemica che circonda il [“]papiro della moglie di Gesù[“] superata. Personalmente, da questo momento in poi non sono interessato a speculare su chi possa essere il falsario e quali siano le sue intenzioni. Inoltre, non ritengo [...] King responsabile di questa vicenda. Come studiosa, ha solo seguito la sua vocazione ed edito un frammento di manoscritto potenzialmente interessante. Sono certo che, al suo posto, molti altri studiosi avrebbero fatto esattamente la stessa cosa»[5]. Sarà forse possibile chiudere definitivamente il caso solo quando gli studiosi avranno modo di esaminare fianco a fianco i frammenti del GJW e del Vangelo di Giovanni per studiarne i rapporti reciproci, come ha suggerito Choat sempre al New York Times. E in quell’occasione sarà forse il caso che anche gli altri quattro papiri siano su quel tavolo. Note 1) Il fascicolo è accessibile all’url http://journals.cambridge.org/action/displayIssue?decade=2010&jid=HTR&volumeId=107&issu... purtroppo dietro accesso a pagamento; il materiale supplementare è disponibile all’url http://gospelofjesusswife.hds.harvard.edu/ 2) Si veda http://evangelicaltextualcriticism.blogspot.com/2014/04/the-forgery-of-lycopolitan-gosp... e Askeland, C. 2014. A Fake Coptic John and Its Implications for the 'Gospel of Jesus's Wife'. “Tyndale Bulletin” 65.2, pp. 1-10 3) https://suciualin.files.wordpress.com/2014/06/emmel-codicologyharvardjohn-2014-06-22.pdf 4) http://www.nytimes.com/2014/05/05/us/fresh-doubts-raised-about-papyrus-scrap-known-as-g... 5) 26/the-gospel-of-jesus-wife-papyrus-final-considerations/ https://www.cicap.org/n/articolo.php?id=275814

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